La teologia delle emissioni di Papa Francesco
E non si discute. O almeno, questo vorrebbe lui
Mi sono preso del tempo per leggere l'ultima esortazione apostolica di Papa Francesco (Laudate Deum) e, dopo averci riflettuto un po' su, direi che quel che ne penso potrebbe essere riassunto nel titolo: TEOLOGIA DELLE EMISSIONI.
Stampata, sono 15 facciate (note escluse); ma soltanto poco più di due sono dedicate a quelle che il pontefice definisce "le motivazioni spirituali". Per altro deboli, a mio avviso: perché di fatto è un copia-incolla di spezzoni della Bibbia corredati da commenti del livello di un ragazzino in età scolare. Non esagero, leggete voi stessi.
La gran parte del testo è composto da una estenuante ripetizione di presunti numeri e dati scientifici, con annessi appelli che ci vengono già propinati quotidianamente dai politici di turno a mezzo stampa (non per niente, nel sottolinearle ho etichettato queste parti a matita con "pappagallo scientifico" e "pappagallo politico").
Non solo la predicazione del kérigma è totalmente assente, ma si arriva persino a benedire la violenza dei gruppi ambientalisti, in quanto «occupano un vuoto della società» (§58).
Tutto il discorso si reggerebbe sul fatto che «la stragrande maggioranza degli studiosi del clima sostiene questa correlazione e solo una minima percentuale di essi tenta di negare tale evidenza» (§13), ma a sostegno di questa tesi non c'è fonte, men che meno numeri o dati. Semplicemente «L’origine umana – antropica – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio”» (§ 11). Amen.
Le uniche fonti dichiarate affidabili sono selezionate su una base del tutto acritica, perché quegli scienziati di cui si parla sono a capo del panel Ipcc dell'Onu, la cui esistenza dipende da un'assunzione politica, quella dell'emergenza climatica, e non di certo da un libero percorso di ricerca della verità.
Si dichiara come fosse un dato acclarato che «il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura» (§ 2), e che il cambiamento climatico produrrà un impatto sociale ed economico drammatico in tutto il mondo, i cui segni «sono lì, sempre più evidenti» (§ 5), ma non si cita alcuna fonte a supporto di tale tesi.
Non solo: si chiede che vengano istituite «forme vincolanti di transizione energetica che abbiano tre caratteristiche: che siano efficienti, che siano vincolanti e facilmente monitorabili» (§ 59), praticamente invocando un "supergoverno globale" che imponga provvedimenti e norme rigide scavalcando i processi democratici delle singole nazioni. Quasi che la profezia "Gaia" di Casaleggio debba necessariamente avverarsi.
Tutto questo è da brividi: ci riporta indietro all'alba del 1600, quando la Chiesa chiedeva a Galileo Galilei di rispettare la filosofia e la teologia senza sostituirsi ad esse. Oggi al contrario si vuole avvalorare per fede e ragione una teoria scientifica, il climatismo, come una specie di teologia naturale e morale per la quale filosofia e teologia devono uniformarsi, senza sé e senza ma.
Eppure, se la fede ci impone di "credere" in una ipotesi scientifica (per la quale all'interno dello stesso mondo non c'è consenso unanime, come ben ci ricorda il Papa), allora ipotesi e scienza diventano ideologia. Perché la fede non può “battezzare” nessuna teoria scientifica, proprio in virtù del fatto che la scienza è strutturalmente provvisoria e le sue conclusioni rimangono valide fino a che restano validi i loro presupposti di partenza.
A questo punto non possiamo che chiederci: perché mai il Papa fa un mestiere che non è il suo? Come può pretendere di presentare argomentazioni irrefutabili in campo scientifico e tecnico senza averne alcuna autorità?
Provo a rispondere: forse per compiacere il mondo? Perché non sembra proprio che lo stia facendo per proclamare fede.